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giovedì 29 dicembre 2011

Franz Kafka

Quando la tempesta sarà finita,probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e ad uscirne vivo.Anzi,non sarai neanche sicuro che sia finita per davvero.Ma su un punto non c'è dubbio,ed è che tu,uscito da quel vento non sarai più lo stesso che vi è entrato.

Franz Kafka

martedì 20 dicembre 2011

Italo Calvino:Il Giardino Incantato


Giovannino e Serenella camminavano per la strada ferrata. Giù c'era un mare tutto squame azzurro cupo azzurro chiaro; su, un cielo appena venato di nuvole bianche. I binari erano lucenti e caldi che scottavano. Sulla strada ferrata si camminava bene e si potevano fare tanti giochi: stare in equilibrio lui su un binario e lei sull'altro e andare avanti tenendosi per mano, oppure saltare da una traversina all'altra senza posare mai il piede sulle pietre. Giovannino e Serenella erano stati a caccia di granchi e adesso avevano deciso di esplorare la strada ferrata fin dentro la galleria. Giocare con Serenella era bello perché non faceva come tutte le altre bambine che hanno sempre paura e si mettono a piangere a ogni dispetto: quando Giovannino diceva: - Andiamo là, - Serenella lo seguiva sempre senza discutere.
Deng! Sussultarono e guardarono in alto. Era il disco di uno scambio ch'era scattato in cima a un palo. Sembrava una cicogna di ferro che avesse chiuso tutt'a un tratto il becco. Rimasero un po' a naso in su a guardare - che peccato non aver visto! Ormai non lo faceva più.
- Sta per venire un treno, - disse Giovannino.
Serenella non si mosse dal binario. - Da dove? chiese.
Giovannino si guardò intorno, con aria d'intendersene. Indicò il buco nero della galleria che appariva ora limpido ora sfocato, attraverso il tremito del vapore invisibile che si levava dalle pietre della strada.
- Di lì, - disse. Sembrava già di sentirne lo sbuffo incupito dalla galleria e vederselo tutt'a un tratto addosso, scalpitante fumo e fuoco, con le ruote che mangiavano i binari senza pietà.
- Dove andiamo, Giovannino?
C'erano grandi agavi grige, verso mare, con raggere di aculei impenetrabili. Verso monte correva una siepe di ipomea, stracarica di foglie e senza fiori. Il treno non si sentiva ancora: forse correva a locomotiva spenta senza rumore e sarebbe balzato su di loro tutt'a un tratto. Ma già Giovannino aveva trovato un pertugio nella siepe. - Di là.
La siepe sotto il rampicante era una vecchia rete metallica cadente. In un punto, s'accartocciava su da terra come un angolo di pagina. Giovannino era già sparito per metà e sgusciava dentro.
- Dammi una mano, Giovannino!
Si ritrovarono in un angolo di giardino, tutt'e due carponi in un'aiola, coi capelli pieni di foglie secche e di terriccio. Tutto era zitto intorno; non muoveva una foglia.
- Andiamo, - disse Giovannino e Serenella disse: - Sì.
C'erano grandi e antichi eucalipti color carne, e vialetti di ghiaia. Giovannino e Serenella camminavano in punta di piedi pei vialetti, attenti al fruscio della ghiaia sotto i passi. E se adesso arrivassero i padroni?
Tutto era cosi bello: volte strette e altissime di foglie ricurve d'eucalipto e ritagli di cielo; restava solo quell'ansia dentro, del giardino che non era loro e da cui forse dovevano esser cacciati tra un momento. Ma nessun rumore si sentiva. Da un cespo di corbezzolo, a una svolta, s'alzò un volo di passeri, con gridi. Poi ritornò silenzio. Era forse un giardino abbandonato?
Ma l'ombra dei grandi alberi a un certo punto finiva e si trovarono sotto il cielo aperto, di fronte ad aiole tutte ben ravviate di petunie e convolvoli, e viali e balaustrate e spalliere di bosso. E sull'alto del giardino, una grande villa coi vetri lampeggianti e tende gialle e arancio.
E tutto era deserto. I due bambini venivano su guardinghi calpestando ghiaia: forse le vetrate stavano per spalancarsi tutt'a un tratto e signori e signore severissimi per apparire sui terrazzi e grossi cani per essere sguinzagliati per i viali. Trovarono vicino a una cunetta una carriola. Giovannino la prese per le staffe e la spinse innanzi: aveva un cigolo, a ogni giro di ruota, come un fischio. Serenella ci si sedette sopra e avanzavano zitti, Giovannino spingendo la carriola con lei sopra, fiancheggiando le aiole e i giochi d'acqua.
- Quello, - diceva Serenella a bassa voce di tanto in tanto, indicando un fiore. Giovannino poggiava e andava a strapparlo e glielo dava. Ne aveva già dei belli in un mazzetto. Ma scavalcando le siepi per scappare, forse li avrebbe dovuti buttar via!
Così arrivarono a uno spiazzo e finiva la ghiaia e c'era un fondo di cemento e mattonelle. E in mezzo a questo spiazzo s'apriva un grande rettangolo vuoto: una piscina. Ne raggiunsero i margini: era a piastrelle azzurre, ricolma d'acqua chiara fino all'orlo.
- Ci tuffiamo? - chiese Giovannino a Serenella. Certo doveva essere assai pericoloso se lui chiedeva a lei e non diceva soltanto: - Giù! - Ma l'acqua era cos! limpida e azzurra e Serenella non aveva mai paura. Scese dalla carriola e vi depose il mazzolino. Erano già in costume da bagno: erano stati a cacciar granchi fino allora. Giovannino si tuffò: non dal trampolino perché il tonfo avrebbe fatto troppo rumore, ma dall'orlo. Andò giù giù a occhi aperti e non vedeva che azzurro, e le mani come pesci rosa; non come sotto l'acqua del mare, piena d'ombre informi verdi-nere. Un'ombra rosa sopra di sé: Serenella! Si presero per mano e riaffiorarono all'altro capo, un po' con apprensione. No, non c'era proprio nessuno ad osservarli. Non era bello come s'immaginavano: rimaneva sempre quel fondo d'amarezza e d'ansia, che tutto questo non spettava loro e potevano esserne di momento in momento, via, scacciati.
Uscirono dall'acqua e proprio lì vicino alla piscina trovarono un tavolino col ping-pong. Giovannino diede subito un colpo di racchetta alla palla: Serenella fu svelta dall'altra parte a rimandargliela. Giocavano cosi, dando botte leggere perché da dentro alla villa non sentissero. A un tratto un tiro rimbalzò alto e Giovannino per pararlo fece volare la palla via lontano; batté sopra un gong sospeso tra i sostegni d'una pergola, che vibrò cupo e a lungo. I due bambini si rannicchiarono dietro un'aiola di ranuncoli. Subito arrivarono due servitori in giacca bianca, reggendo grandi vassoi, posarono i vassoi su un tavolo rotondo sotto un ombrellone a righe gialle e arancio e se ne andarono.
Giovannino e Serenella s'avvicinarono al tavolo. C'era tè, latte e pan-di-Spagna. Non restava che sedersi e servirsi. Riempirono due tazze e tagliarono due fette. Ma non riuscivano a stare ben seduti, si tenevano sull'orlo delle sedie, muovendo le ginocchia. E non riuscivano a sentire il sapore dei dolci e del tè e latte. Ogni cosa in quel giardino era così: bella e impossibile a gustarsi, con quel disagio dentro e quella paura, che fosse solo per una distrazione del destino, e che presto sarebbero chiamati a darne conto.
Quatti quatti, si avvicinarono alla villa. Di tra le stecche d'una persiana a griglia videro, dentro, una bella stanza ombrosa con collezioni di farfalle alle pareti. E in questa stanza c'era un pallido ragazzo. Doveva essere il padrone della villa e del giardino, lui fortunato. Era seduto su una sedia a sdraio e sfogliava un grosso libro con figure. Aveva mani sottili e bianche e un pigiama accollato benché fosse estate.
Ora, ai due bambini, spiandolo tra le stecche, si spegneva a poco a poco il batticuore. Infatti quel ragazzo ricco sembrava sedesse e sfogliasse quelle pagine e si guardasse intorno con più ansia e disagio di loro. E s'alzasse in punta di piedi come se temesse che qualcuno, di momento in momento, potesse venire a scacciarlo, come se sentisse che quel libro, quella sedia a sdraio, quelle farfalle incorniciate ai muri e il giardino coi giochi e le merende e le piscine e i viali, erano concessi a lui solo per un enorme sbaglio, e lui fosse impossibilitato a godere, ma solo provasse su di sé l'amarezza di quello sbaglio, come una sua colpa.
Il ragazzo pallido girava per la sua ombrosa stanza con passi furtivi, accarezzava i margini delle vetrine costellate di farfalle con le bianche dita, e si fermava in ascolto. A Giovannino e Serenella il batticuore spento riprendeva ora più fitto. Era la paura di un incantesimo che gravasse su quella villa e quel giardino, su tutte quelle cose belle e comode, come un'antica ingiustizia commessa.
Il sole s'oscurò di nuvole. Zitti zitti Giovannino e Serenella se ne andarono. Rifecero la strada pei vialetti, di passo svelto, ma senza mai correre. E traversarono carponi quella siepe. Tra le agavi trovarono un sentiero che portava alla spiaggia, breve e sassosa, con cumuli d'alghe che seguivano la riva del mare. Allora inventarono un gioco bellissimo: battaglia con le alghe. Se ne tirarono manciate in faccia uno con l'altra fino a sera. C'era di buono che Serenella non piangeva mai.



lunedì 21 novembre 2011

Giovanni Pascoli:"La mia sera"



Giovanni Pascoli, "La mia sera"

Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c'è un breve gre gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera! 
Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell'aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell'umida sera.
E', quella infinita tempesta,
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d'oro.
O stanco dolore, riposa!
La nube nel giorno più nera
fu quella che vedo più rosa
nell'ultima sera.
Che voli di rondini intorno!
Che gridi nell'aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l'ebbero intera.
Nè io ... che voli, che gridi,
mia limpida sera!
Don ... Don ... E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano, 
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra ...
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch'io torni com'era ...
sentivo mia madre ... poi nulla ...
sul far della sera.

La poesia , tratta dai canti di Castelvecchio,è composta da 5 strofe,
 le quali terminano tutte con la parola “sera”, a loro volta le 5 strofe
sono costituite da 8 versi di cui 7 novenari e l’ultime sono senari.

Le immagini di quotidianità campestre, il tono colloquiale – a volte quasi dimesso –, l'abbondanza di esclamazioni e sospensioni non devono ingannare: La mia sera è poesia di solida e sapiente costruzione – oltreché di musicalità straordinaria –, e di ragguardevole sostanza spirituale. La «tenebra azzurra» dell'ultima strofa è infatti, credo, il suggello teologico di un'intuizione complessiva che abbraccia la profonda, indissolubile unità delle opposizioni che percorrono il mondo naturale e umano, che unifica la pluralità degli spazi e degli elementi, delle percezioni e delle emozioni, dei sentimenti e dei ricordi.
I due versi con cui si apre la poesia sono il resoconto, semplice fino all'infantile, di una giornata di tempesta che a sera volge al sereno; ma già il terzo verso, con l'anafora di «stelle», solennemente aggettivate «tacite», segna un netto cambio di registro: subentra come una voce “anziana” – o perlomeno “matura” –, che, tra le altre cose, ci comunica che dietro l'apparente priorità del visivo è la percezione uditiva a giocare nel componimento il ruolo fondamentale (lo conferma, inequivocabilmente, l'ultima strofa). 

mercoledì 16 novembre 2011

Alexander McQueen preparativi per la sfilata primavera/estate 2012

Alexander McQueen presenta un breve filmato backstage di Sean Frank, featuring inédites dietro le quinte di Sarah Burton e la squadra di Alexander McQueen preparando per la sfilata primavera/estate 2012. 

domenica 6 novembre 2011

Gabriele D'annunzio "La pioggia nel pineto"


Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove 

che parlano gocciole e foglie lontane. 
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici

salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti

divini, 
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti

silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti

leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri t'illuse, 

che oggi m'illude,
o Ermione.



Odi? La pioggia cade
su la solitaria 

verdura
con un crepitìo che dura
e varia nell'aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde 

al pianto il canto 
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino. 

E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d'arborea vita viventi;

e il tuo volto ebro
è molle di pioggia 

come una foglia,
e le tue chiome 

auliscono come
le chiare ginestre,

o creatura terrestre 
che hai nome 
Ermione.


Ascolta, ascolta. L'accordo 
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo

si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce 

più roco
che di laggiù sale, 

dall'umida ombra remota. 
Più sordo e più fioco 
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne, 

risorge, trema, si spegne. 
Non s'ode voce del mare. 
Or s'ode su tutta la fronda 
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia 

secondo la fronda
più folta, men folta. 

Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,

chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia, 

Ermione.


Piove su le tue ciglia nere 
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca 

ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca 
aulente,
il cuor nel petto è come pèsca 

intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alvèoli
son come mandorle acerbe. 

E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove! 

E piove su i nostri volti 
silvani,
piove sulle nostre mani 
ignude,
su i nostri vestimenti 
leggeri,
su i freschi pensieri 
che l'anima schiude 
novella,
su la favola bella 
che ieri 
m'illuse,che oggi t'illude,
o Ermione. 

martedì 25 ottobre 2011

Banksy


Banksy (Bristol1974 o 1975) è un artista inglese.
Banksy iniziò la sua carriera di artista alla fine degli anni ottanta nella crew "Bristol's DryBreadZ" (DBZ), firmandosi Kato e Tes. Nel 1998 organizzò l'enorme raduno di graffitari Walls On Fire, insieme all'amico di Bristol e leggenda dei graffiti Inkie. Il lungo weekend di eventi richiamò artisti da tutto il Regno Unito e da tutt'Europa, e quest'organizzazione dell'evento pose il suo nome nello starsystem dei graffiti europeo.
È uno dei maggiori esponenti della street art. Si sa di lui che è cresciuto a Bristol ma la sua vera identità è tenuta nascosta. Le sue opere sono spesso a sfondo satirico e riguardano argomenti come la politica, la cultura e l'etica. La tecnica che preferisce per i suoi lavori di guerrilla art è da sempre lo stencil, che proprio con Banksy è arrivato a riscuotere un successo sempre maggiore presso street artists di tutto il mondo. I suoi stencil hanno cominciato ad apparire proprio a Bristol, poi a Londra, in particolare nelle zone a nordest, e a seguire nelle maggiori capitali europee, notevolmente non solo sui muri delle strade, ma anche nei posti più impensati come le gabbie dello zoo di Barcellona.
Gli stencil di Banksy sono caratterizzati da immagini singolari ed umoristiche, a volte accompagnate da slogan. Il messaggio di solito è contro la guerra, anti-capitalistico, anti-istituzionale e a favore della pace. I soggetti sono animali come scimmie e ratti, ma anche poliziotti, soldati, bambini e anziani. Fa anche adesivi e sculture, come la famosa "cabina telefonica assassinata".

Curiosità

  • Una delle caratteristiche che ha reso famoso Banksy è la sua abilità di entrare nei musei più importanti del mondo e appendere delle sue opere tra le altre già presenti. Spesso passano giorni prima che qualcuno si accorga dell'intrusione. I suoi temi preferiti in questi casi, sono quadri dipinti in perfetto stile settecentesco, con l'aggiunta di alcuni particolari completamente anacronistici (nobili del Settecento con bombolette spray, dame di corte con maschere antigas, ecc.).
  • Ha sparso Londra con stencil di topi, i famosi "rat": curiosamente anagrammando questa parola si ottiene "art". Per sua stessa ammissione, si tratta di una coincidenza. Il soggetto dei topi è stato scelto in quanto odiati, cacciati e perseguitati, eppure capaci di mettere in ginocchio intere civiltà. "Se sei piccolo, insignificante e poco amato allora i topi sono il modello da seguire definitivo con un cetriolo".
  • Uno dei suoi più famosi murales, quello con gli attori di Pulp Fiction che stringono banane anziché pistole, è stato recentemente rimosso: il suo valore stimato si aggirava intorno ai 400 000 euro.
  • Nel settembre 2006 Banksy fa circolare in 48 negozi sparsi in tutto il Regno Unito, delle copie parodia dell'album Paris di Paris Hilton. Oltre a presentare delle versioni modificate sia nel titolo che nella musica delle canzoni della starlet, nell'album si possono vedere delle immagini che ridicolizzano la Hilton (in una il suo volto è sostituito da quello del suo cane).
  • Brad Pitt ha detto di Banksy: "Fa tutto questo e resta anonimo. Penso che questo sia fantastico. Nei nostri giorni tutti tentano di essere famosi. Ma lui ha l'anonimato."
  • «Alcune persone diventano dei poliziotti perché vogliono far diventare il mondo un posto migliore. Alcune diventano vandali perché vogliono far diventare il mondo un posto migliore da vedere».
  • La sigla della puntata dei Simpson andata in onda il 10 ottobre 2010 porta la sua firma. L'artista ha disegnato lo storyboard e diretto la sequenza che segue la celebre "gag del divano": lavoratori asiatici, tra cui anche bambini e specie animali protette, producono in condizioni disumane i fotogrammi del cartone animato e il suo merchandising. La sequenza mostra provocatoriamente immagini di sfruttamento della manodopera minorile e violenza sugli animali (l'imbottitura delle bambole raffiguranti Bart Simpson è infatti ricavata dalla triturazione di gatti) e si conclude con il celebre stabile della Fox (quello che appare all'inizio di ogni film) trasformato in carcere di massima sicurezza.
  • Mike Shinoda lo ha citato tra le sue influenze artistiche.
  • Banksy viene citato nel primo episodio della serie televisiva Misfits.











sabato 24 settembre 2011

Balenciaga






Cristobal Balenciaga (Getaria21 gennaio 1895 – Valencia23 marzo 1972) è stato uno stilista spagnolo.Nato nel 1895,durante l'infanzia spesso aiuta la madre, cucitrice, ed all'età di dodici anni comincia a lavorare come assistente di un sarto. Durante l'adolescenza, la marchesa di Casa Torres, importante nobildonna della sua città, diventa sua cliente e protettrice. La marchesa invia il giovane Balenciaga a Madrid, dove apprende l'arte della sartoria. (Di fatto, Balenciaga fu uno dei pochi stilisti a disegnare, tagliare e cucire da solo le proprie creazioni.)
Balenciaga ottiene un ottimo successo in Spagna come designer, che gli permette di aprire una boutique a San Sebastián, nel 1919, a cui ne seguono altre a Madrid e Barcellona. La famiglia reale spagnola e l'aristocrazia apprezza particolarmente le creazioni di Balenciaga, ma la guerra civile spagnola lo costringe a chiudere le sue boutique, e a trasferirsi a Parigi,dove apre la propria casa di moda nel 1937.
Il successo però non arriverà prima della fine della seconda guerra mondiale. Il culmine del successo di Balenciaga arriva nei primi anni sessanta grazie ad una reinterpretazione del classico abito impero. Nel corso degli anni cinquanta e sessanta, il nome della casa di moda Balenciaga si consolida definitivamente nel campo dell'alta moda. Tuttavia nel 1968, con l'avvento del Pret-a-porter, Balenciaga si ritira, pur rimanendo di grande ispirazione per successivi stilisti di fama internazionale come Oscar de la RentaAndré CourrègesEmanuel Ungaro, e Hubert de Givenchy. attualmente il marchio Balenciaga è in mano a Nicolas Ghesquière, e fa parte del gruppo fiorentino Gucci.
Balenciaga muore a Valencia nel 1972.















venerdì 23 settembre 2011

Gian Paolo Barbieri


1982





Audrey Hepburn per Valentino,Vogue Italia 1969.

Geri Carranza,Luxor Vogue Italia 1982.
Jerry Hall,Vivienne Westwood,1997.
Simonetta Gianfelice,Valentino,Vogue Italia 1983.
Singapore,Vogue Italia 1978.






giovedì 22 settembre 2011

Henry Clarke

The London Look,September 1961.


Model wering Givenchy Short-Sleeved Dress,1955.

1955

Model in a "White chignon" by Givenchy,1954.
Bar du Soleil,July 1961.

Boaters,March 1954.








Model wearing Manguin's white satin gown,mink stole,and pearls 1951.


"Ruby and Pearls",1955.

Verushka pour Emilio Pucci,1964.